Il primo viaggio
di Smilla fu dal rifugio dov'era ospite a casa mia. Dopo le varie visite di
conoscenza, le passeggiate sempre più lunghe, finalmente era arrivato il
momento di valutare come si sarebbe comportata a casa. L'accordo prevedeva di
rientrare in canile alla sera e poi concludere in maniera definitiva
l'adozione. A quel tempo abitavo in una casa di pietra, senza riscaldamento ma
con un bel camino, sulle colline prospicienti Gorizia. Per il trasferimento dal
canile a casa, circa quindici chilometri, usammo la mia vecchia Golf del 95,
auto mitologica che ci accompagnò poi in parecchie avventure. A Smilla piacque
subito, si accomodò sul sedile posteriore in posizione leonesca e, guardando
dal finestrino laterale, viaggiò serena fino a casa. Qui arrivò anche mio
figlio, allora novenne, che entrò subito in profondo contatto con la sensibile
Smilla. Giocarono nel grande prato di fronte a casa, si rincorsero tra i meli e
i ciliegi e poi, stremati, si misero a guardare un cartone animato. Si era
fatto buio nel frattempo e si avvicinava l'ora di rientrare. Smilla e Martino
erano sul tappeto che guardavano "Balto", erano entrambi sereni e
felici e all'idea di riportare il cane in rifugio, seppur per una ultima notte,
mi si torcevano le budella.
Fu a quel punto
che presi la decisione di chiamare: -"Pronto, ciao sono Paolo quello che
ha preso in affido Stella ( questo era il nome che le avevano dato i benemeriti
volontari del Gruppo Ambiente Animali Abbandonati ). Senti, la cagnotta è qui
che guarda un cartone animato con mio figlio e riportarla mi sembrerebbe di
tradirla. Domattina passo da voi e firmo tutte le carte che volete, ma non
chiedetemi di riportarla"- Il volontario che era dall'altra parte della
cornetta, di fronte alla mia risolutezza mi chiese solo:-"Ma che film
guarda?"- e poi ridendo mi disse che non c'erano problemi, ormai avevano
imparato a conoscermi e si fidavano.
Smilla non è mai
più tornata al canile, dove peraltro era stata trattata benissimo. Io volevo
che questa parte della sua vita, con due adozioni andate male e un bel po' di
violenze subite, si concludesse con quel primo viaggio nella Golf.
I giorni
successivi furono di acclimatamento e devo dire che Smilla nonostante le
innumerevoli paranoie si impegnava molto, aiutata un po’ anche dai fiori di
Bach, cercando di fare il bravo cane. Faceva una guardia efficacissima in
giardino, scavava come se dovesse trovare un tesoro e si godeva il tepore di un
autunno tiepido dormendo sull’erba morbida. Io da parte mia cercavo di darle
sicurezza e affetto e la facevo partecipe, come sempre ho fatto con i cani che
hanno vissuto con me, di ogni attimo della mia giornata. Entrambi ci studiavamo
anche se era già ben evidente che la sintonia c’era. Passato questo primo
periodo di rodaggio decisi che era giunto il momento di andare. Da sempre ho
avuto questa inquietudine dell’anima che mi ha portato a spostarmi spesso di
luogo. Ogni tanto, per alcuni giorni, devo andare. Il vento che fa il suo giro,
le stagioni che si susseguono, la luna che cresce o cala, non so bene cosa sia
che mi fa sentire l’esigenza del viaggio. " Un vero viaggio non è cercare
nuove terre, ma avere nuovi occhi" diceva Marcel Proust. E ogni volta con
nuovi occhi partivo nel mondo, questa volta assieme a Smilla.
Preparammo
quindi i miei bagagli, pochi, negli anni ho imparato a lasciare il superfluo a
casa e quelli di Smilla, pappe, spazzole per la toeletta, documenti e li
caricammo sulla Golf. Partimmo in direzione di Praga, nella città di Kafka
c’ero stato una decina d’anni prima ed ero rimasto affascinato dall’insieme di
art nouveau, barocco, cubismo, gotico, neoclassico e ultramoderno. Avevo
calcolato di fare tappa circa ogni duecento chilometri o comunque quando il
paesaggio o la stanchezza lo avessero richiesto. Da casa per raggiungere il
confine austriaco decisi di non andare in autostrada ma di fare la strada normale
che passa attraverso il Canal del Ferro, l’antica via che dalle miniere della
Val Canale permetteva il trasporto del ferro verso l’Adriatico. Poi, dal
confine austriaco, prendemmo l’autostrada A 10 verso Klagenfurt e poi Linz,
nelle vicinanze del confine ceco.
-Devo dire che questo umano non è male, è gentile, di
bell’aspetto, suona il pianoforte e ascolta Bach. Io amo Bach, sia quello dei
fiori, che mi hanno aiutato a vincere le mie paure di randagia, sia quello del
clavicembalo ben temperato. La macchina in cui sto viaggiando è molto comoda
per un cane anche se non ha ancora quel buon odore che si trova nelle auto
abitate da cani. Stiamo andando a Praga ha detto l’uomo, ma io non so dov’è.
Però non mi interessa, se lui ci va vuol dire che ci sarà un buon motivo e poi
mi ha parlato di un castello, della via degli alchimisti e io, che credo di
discendere da una razza di cani che ha frequentato le corti medievali, so che
mi ci troverò bene. Poi a Praga ci sono un sacco di localini jazz e Bach è
l’autore più amato da quel tipo di musicisti.-
Superato il
confine decisi di fare una tappa nella splendida cittadina di Český Krumlov con
il suo bellissimo castello, insolitamente grande e raffinato per una città
delle dimensioni di Krumlov; per dimensioni è secondo soltanto al complesso del
castello di Praga. Questo castello contiene un teatro barocco miracolosamente
conservato che, completo di scenario originale ed arredi scenici, è uno dei
pochi teatri di questo tipo ancora esistenti. Per la sua età, il teatro è usato
soltanto una volta all'anno, quando un'opera barocca viene rappresentata a lume
di candela. Smilla passeggiava senza guinzaglio tra le vie acciottolate,
annusando le pietre delle antiche mura e vedendola così a suo agio in quel
contesto architettonico mi venne fatto di pensare che in altre vite poteva
esser stata un cane da reggia. Anzi, per l’austerità dei modi, quasi elfica. E
si, elfica, perché amo Bach ma amo anche Tolkien. Credo che l’opera di J.R.R.
Tolkien abbia un impatto e un’influenza sulla letteratura e la cultura
contemporanee che è interpretabile da diverse angolazioni, letteraria,
linguistica, poetica, teologica, filosofica. L’opera del professore di Oxford
ha molteplici livelli di lettura, complessa ma allo stesso tempo estremamente popolare
e facile da recepire ai livelli basilari. Tolkien, che di mestiere era
professore di filologia germanica presso il Merton College, aveva l'abitudine
di prendere appunti sui margini dei fogli e su ogni pezzo di carta che gli
passasse sotto mano. Da queste semplici annotazioni egli sviluppava storie
affascinanti, drammatiche e piene di poesia, rivolte sia ai bambini che agli
adulti. La stesura del complesso di miti e leggende che in seguito divenne Il
Silmarillion, a cui lavorò per tutta la vita, aveva l’intento di dare
all'Inghilterra una vera e propria mitologia, ricostruita dai pochi frammenti
rimasti dopo le turbolente vicende storiche di cui essa era stata protagonista;
inoltre la genesi di questi miti era strettamente legata alla volontà di Tolkien
di creare una mitologia e poi una letteratura epica e fiabesca da attribuire ai
popoli che parlavano le sue lingue inventate. Dunque queste opere sono
propriamente dei metaracconti.
Tutto del suo
mondo, sotto la lente di ingrandimento ad ogni grado di lettura, sembra
provenire da un universo completo e già "compiuto". La cosa
inesplicabile del suo stile si riduce a questo: "questo personaggio è già
stato immenso nel passato e nel presente, nel mio presente, quello del mio
racconto. Ma "caro lettore", te ne faccio assaporare solo una minima
parte."
Purtroppo in
Italia, al contrario di quello che accadde nel resto del mondo dove era amato
dal movimento hippie, Tolkien fu preso come modello evocativo mitologico dalla
destra, con annessi e connessi. E nessuno glielo contese, finché non arrivarono
i film di Peter Jackson sulla saga degli hobbit , con l’enorme successo di
pubblico e critica cinematografica che ne derivò, a sollecitare la sinistra a
tentare un recupero in extremis del fin lì ignorato, rimosso o maledetto
autore.
Del resto già
anni prima Umberto Eco aveva aperto gli occhi sul pericolo di “lasciare alla
destra la potenza evocativa del mito”(vabbè, nel caso di Tolkien, a rigore si
deve parlare di simbolo e allegoria e non di mito, ma l’avvertimento può essere
esteso anche a quegli altri due ambiti semantici). In buona sostanza, Tolkien,
che era cattolico, ha voluto dare con un mix di miti e riferimenti teologici
vari un’ indicazione di pace, di amore per la natura e per ogni sua creatura e
ciò me lo ha fatto amare sopra ogni altra cosa. Poi, estrapolando dal contesto,
si può dire tutto e il contrario di tutto di ognuno di noi.
“Molti tra i
vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita.
Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel
distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono
vedere tutte le conseguenze”.
Convintomi ormai
della “elficità” di Smilla ripartimmo verso Praga passando per la campagna
boema, attraversando paesini dove permaneva un odore forte di carbone
(materiale ancora usato per riscaldare le case), incontrando gente con i mezzi
di trasporto più disparati, alcuni ancora retaggio del socialismo reale.
Finalmente
Praga. Scendemmo all’Hotel Archibald at the Charles Bridge nelle vicinanze del
Karluv Most, il Ponte Carlo. Questo ponte è uno storico ponte in pietra sulla
Moldava e collega la Città Vecchia al quartiere di Malá Strana; è forse il più
famoso monumento della capitale della Repubblica Ceca. Misura 515 metri di
lunghezza e 10 metri di larghezza. Il ponte è una delle più grandi attrazioni
turistiche della città, ed è molto frequentato dagli artisti di strada,
musicisti e venditori di souvenir durante tutto l'anno. La sua costruzione,
iniziata nel 1357, fu commissionata da Carlo IV, allora Re di Boemia e
Imperatore del Sacro Romano Impero, all'architetto Petr Parléř, famoso anche
per aver costruito la Cattedrale di San Vito ed il Castello di Praga, che la
terminò nel 1402. A modello venne preso il ponte di pietra (Steinerne Brücke)
di Ratisbona. Venne edificato per sostituire il Ponte di Giuditta (che fu il
primo ponte in pietra ad essere costruito sul fiume nel 1170), spazzato via da
una piena della Moldava nel 1342. Secondo una leggenda, si dice che all'atto di
costruire il ponte, all'impasto della malta vennero aggiunti dei tuorli d'uovo,
al fine di renderne più solida la struttura: Carlo IV chiese a tutti i villaggi
del regno di contribuire alla costruzione, inviando un carro d'uova. Le due estremità
del ponte furono fortificate attraverso la costruzione di due torri, e la
protezione del ponte fu affidata all'ordine dei Crocigeri della Stella Rossa. In
origine il ponte era chiamato semplicemente "ponte di pietra"
(Kamenný most) o "ponte di Praga" (Pražský most), assumendo la denominazione
attuale solo nel 1870. Nel 1432 tre pilastri vennero danneggiati da una piena.
Nel 1464, su ordine di Giorgio di Poděbrady, venne costruita (presumibilmente
sulle vestigia di una torre romanica) una torre di fortificazione, la
Staroměstská Věž, all'ingresso occidentale del ponte. Durante la Guerra dei
trent'anni il ponte fu teatro di cruente battaglie, allorché le truppe svedesi
assediavano la città dalla sponda occidentale della Moldava. A partire dal XVII
secolo, per volere dei Gesuiti, sui suoi lati vennero sistemate delle statue
barocche di santi, 30 in tutto (quelle che si possono ammirare attualmente sono
però delle copie delle statue originali). Sistematici per bene in questa
delizia di albergo cominciammo a gironzolare per la città, un po’ a piedi, un
po’con la metro, facendoci avvolgere dalle magiche atmosfere della notte
praghese. Nei giorni seguenti visitammo le meraviglie di questa città, la casa
di Antonín Dvořák, le piazze, i palazzi storici e i musei, il cimitero ebraico.
Mangiammo in ristoranti tipici, dove l’offerta veg lasciava un po’ a
desiderare, in ristoranti etnici, dove era più facile mangiare senza crudeltà.
Ma il posto più magico fu il cimitero sulla collina di Vyšehrad. Secondo il
mito la storia di Praga ebbe inizio proprio sulla collina di Vyšehrad. La
leggenda racconta infatti che la principessa Libuše, che regnava dall’alto di
Vyšehrad sulle terre ceche, un giorno ebbe una visione. Volgendo la sguardo a
una altura ricoperta da una foresta sull’altra sponda della Moldava, dichiarò
che da quella parte del fiume sarebbe sorta una grande città la cui gloria
avrebbe toccato le stelle. Ordinò quindi di erigere un castello là dove un uomo
stava costruendo la soglia di una casa (práh, in ceco): fu così che nacque
Praga. Questo luogo ha un fascino tutto suo e perdendosi tra stradine e punti
panoramici non si fa fatica a credere che ci sia un fondo di realtà nei miti.
Ad alimentare questa particolare atmosfera contribuisce anche la neo-gotica
chiesa di San Pietro e Paolo, il cui profilo svetta sulla collina. Proprio lì
accanto si trovano i cancelli d’entrata del cimitero. Sono oltre 600 le
personalità ceche che riposano qui: artisti, compositori, scultori, scrittori,
professori universitari, scienziati e politici. Nonostante questo, il cimitero
non è molto grande e si visita con calma in poco più di un’oretta. Anche senza
conoscere tutti i nomi famosi sulle tombe, una passeggiata tra le lapidi può
regalare qualche sorpresa agli appassionati di fotografia e a chi ama
l’atmosfera da poeta romantico e un po’ maledetto. La più nota tra le tombe
monumentali è probabilmente il monumento funebre Slavín, disegnato
dall’architetto Antonín Wiehl nella parte più a est del cimitero. All’interno
sono sepolte ben 55 personalità ceche, spaziando da scrittori e poeti ad attori
e registi, da pittori e scultori a cantanti lirici, pianisti e violinisti, fino
ad architetti, archeologi, storici. Tra i tanti merita una particolare menzione
Alfons Mucha, uno dei più importanti artisti dell’Art Noveau. Proprio di fronte
allo Slavín riposa Bedřich Smetana, compositore conosciuto tutto il mondo
soprattutto per il suo poema sinfonico “La Moldava”. Incontriamo uno dei più grandi scrittori e
drammaturghi cechi, Karel Čapek. La tomba dell’inventore della parola robot è
in realtà piuttosto austera e tende a passare inosservata. Passeggiando per i
sentierini si trova poi la lapide del poeta Jan Neruda e quella del compositore
Antonín Dvořák. Oltre a personalità famose a livello internazionale, il
Vyšehradský hřbitov ospita moltissimi personaggi forse sconosciuti ai più, ma
importanti per la scena culturale ceca. Noi abbiamo trovato le tombe dei
violinisti Josef Slavík e František Ondříček e quella di Adolf Kašpar, pittore
e graphic artist che ha illustrato, tra gli altri, anche alcuni libri di Jan
Neruda. Dopo questa immersione nella più alta cultura concludemmo l’ultima
serata con un concerto jazz memorabile al Reduta Jazz Club, fondato nel 1958 e
luogo cult per gli amanti del buona musica.
Il ritorno fu,
come sempre mi accade, lento e tortuoso, con innumerevoli soste e deviazioni,
nella speranza forse di perdersi, chissà. Ma alla casa di pietra alla fine ci
ritornammo e questo fu l’inizio di una serie di viaggi che tuttora continuano.
Smilla si è dimostrata negli anni la viaggiatrice che era in nuce durante
questo primo assaggio di “on the road again”.
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