lunedì 20 gennaio 2014

SIDECAR SMILLA. VIAGGIO NELL'ITALIA DEI CANI ABBANDONATI


                    

di Rita Ciatti
Viaggiare vuol dire comprendere, e l’unico modo per comprendere il mondo è rendersi vulnerabile nei suoi confronti” (Paolo Susana)
Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma” (Bruce Chatwin)
Paolo Susana è un affascinante ragazzone di 51 anni che non soltanto ama la libertà – e quell’inconfondibile 1559775_677300188976364_784226118_nebbrezza dell’esperirla attraverso il viaggio -, ma lotta per la libertà: la sua e quella di ogni altro individuo.
Per questo motivo il 26 luglio del 2013 decide di partire insieme alla compagna Smilla, dolcissima e riflessiva cagnolina adottata da un canile e sottratta a una precedente vita di maltrattamenti e abbandoni, per attraversare, a bordo di un sidecar, simpaticamente denominato “il Poderoso Ronzinante”, parte della nostra penisola al fine di visitare rifugi e strutture che ospitano animali raccolti dalle strade; lo scopo è duplice: non soltanto fornire un reportage a testimoniare l’immenso lavoro dei volontari che si impegnano a offrire riparo e cure ai tanti animali senza una famiglia o a quelli che sono stati salvati da situazioni di maltrattamenti, dai macelli o altri vari non-luoghi di sfruttamento, ma anche sensibilizzare le persone, strada facendo, sul triste fenomeno degli abbandoni e del randagismo senza controllo che ne consegue, così come sull’ingiustizia della nostra cultura antropocentrica e della sua ideologia che giustifica lo sfruttamento degli animali non umani.
Su queste strade, complice la scarsezza del traffico e la mia acquisita maestria nel condurre il Poderoso, mi sbizzarisco in numeri spettacolari di guida. Curve su curve, saliscendi, paesaggi mozzafiato, finché troviamo una sterrata sulla nostra destra e cominciamo a salire tra boschi di castagno e faggio. Guadi, fango, pietre e pascoli ci accompagnano fino a un pianoro di vetta da dove riempiamo gli occhi di cielo, monti e nubi minacciose.
L’istinto mio nomade vorrebbe cercare un riparo per la notte, o magari costruirlo se non c’è, ma l’agitazione di Smilla, che sente l’arrivo del temporale, unita al fatto che comunque domattina ci aspettano a L’Aquila, mi fanno tornare a più miti consigli e a rimandare le mie aspirazioni waldeniane. Scendendo verso valle, penso che sublimerò scrivendo. In questo preciso attimo è nata la volontà di riportare per iscritto le sensazioni di questo viaggio. Scriverò dando voce alla natura e alla storia che in essa si incide. Scriverò come gesto vivo. Scriverò come vigoroso atto d’amore verso la realtà e come espressione di una totale esigenza di realtà.”
Durante il viaggio, come si legge nell’estratto sopra riportato, nasce l’idea di riportare per iscritto le tante emozioni ed esperienze vissute a fior di pelle, gli incontri fatti, i vari aneddoti, ma anche le riflessioni che inevitabilmente ne scaturiscono.
Smilla Sidecar, questo il titolo del libro, diventa così qualcosa di più di un semplice taccuino di viaggio, è un vero e proprio inno alla liberazione animale e invito accorato per restituire a tutti i viventi la dignità che gli abbiamo sottratto e il posto che gli spetta.
Ogni capitolo, sempre introdotto da citazioni di autori famosi, scelte a seconda del contenuto che seguirà (ne vien fuori una raccolta molto significativa), è raccontato da una duplice voce narrante, quella dell’animale umano Paolo, e quella dell’animale canino Smilla, regalandoci così una prospettiva più ampia e non solo angustamente antropocentrica.
Alle descrizioni dei paesaggi, mai oziose, né leziose, né soltanto sfondo neutro, ma quasi altrettante voci narranti a fare da coro che suggerisce pensieri e vie da percorrere, seguono quelle dei vari rifugi, canili, gattili che Paolo e Smilla hanno programmato di visitare, raccogliendone impressioni e storie di chi li gestisce e dei tanti animali ospitati, non di rado protagonisti di vicende toccanti, spesso tragiche.
Ogni incontro e visita è motivo di riflessione sulla maniera in cui noi umani trattiamo gli animali, per consuetudine, ignoranza, cultura, profitto e indifferenza; a causa di quella “dittatura della consuetudine” e della sua pervasività, come direbbe Melanie Joy.
Così è particolarmente approfondito il capitolo dedicato alla sosta romana, in cui il nostro va in ricognizione al bioparco, o meglio, allo zoo, struttura di concezione ottocentesca in cui individui senzienti appartenenti a specie selvatiche vengono rinchiuse in gabbie per essere esposti come fenomeni di baraccone. Paolo ci esorta a non lasciarci abbindolare da una semantica ingannevole tesa a mistificare il business che vi si cela dietro. Le gabbie sono più grandi, ma sempre gabbie rimangono. Il nome è cambiato, ma sempre a indicare un luogo di detenzione rimane. Nessun animale privato della libertà di potersi muovere nel proprio habitat potrà mai esprimere le proprie esigenze di specie-specifiche, di conseguenza nessun animale rinchiuso in zoo, bioparchi, safari-parchi, zoomarine e simili potrà sperimentare quel “benessere” di cui tanti oggi sembrano riempirsi la bocca a sproposito, attribuendogli un significato ambiguo.
E, ancora a proposito di luoghi di detenzione, molto interessante e denso di significato è anche il capitolo dedicato al Volterravegan – festival vegano che si è tenuto lo scorso agosto nella ridente cittadina toscana, organizzato dalle brave ragazze del Gavol – per la cui serata d’apertura è stata organizzata proprio una cena all’interno dell’imponente struttura medicea che ormai da secoli è luogo di pena.
Paolo non ama i luoghi di reclusione, di nessun tipo e quindi esprime manifestamente la sua avversione verso carceri e forze di controllo statali in genere, ma all’interno di quelle mura, seppure ospitanti tragiche storie, sembra quasi costretto a sospendere per un attimo il giudizio perché, in definitiva, quello di Volterra non è un carcere come tutti gli altri, ossia punitivo, ma realmente riabilitativo: uno spazio, seppure chiuso, in cui i carcerati stessi ammettono di trovarsi bene e non arrivano mai a sentirsi tagliati fuori dal resto del tessuto sociale. Il loro tempo è costantemente occupato da iniziative di vario genere, laboratori artistici e teatrali e visite esterne si susseguono senza posa, così che quella che appare essere la maggiore condanna dei detenuti, la grande disponibilità di tempo e il non saper come occuparlo, è scongiurata.
Il rapporto tra carcerati e animali è in fondo molto simile, anche se diversi sono i motivi di esclusione che hanno costretto dentro una gabbia gli uni e gli altri. Riflettere sull’iniquità del concetto di gabbia in sé, non solo reale, ma anche metaforica, può aiutare a capire entro quali meccanismi sociali noi tutti, anche apparentemente liberi, siamo invischiati. Fa sorridere, ma anche riflettere, il pensiero che Smilla, incontrando i carcerati, potrebbe aver pensato che “questi uomini sono rinchiusi perché qualcuno li ha abbandonati”. E forse, chissà, se sono qui è perché saranno stati realmente abbandonati, da una società che anziché rendere liberi e solidali insegna solo la prevaricazione dell’altro e la sopraffazione dei deboli ad opera dei forti.
Come scrive Paolo, dovremmo renderci conto che “la mia libertà non finisce dove comincia la tua, è la tua che aumenta laddove la mia non è limitata”. La libertà di cui parla, in sostanza, è quella mai lesiva del diritto a vivere altrui, quella che allarga orizzonti e confini, anzi, che abbatte orizzonti e confini per tendere verso un assoluto in cui il rispetto per gli altri animali e la lotta contro le varie forme di sfruttamento cui sono soggetti sia indicato come fine ultimo da raggiungere per il darsi di una società veramente libera da ogni qualsivoglia dinamica di oppressione.
Ho trovato poi molto affascinanti i capitoli dedicati alla piacevole deviazione – una fuga, quasi – in Corsica, in cui sinteticamente, ma in maniera molto chiara ed esaustiva si accenna alla resistenza del Fronte di liberazione nazionale corso.
Contraddizioni della lotta armata a parte – personalmente sono per la nonviolenza – è evidente come l’unione e lo spirito indomito di questo popolo abbiano avuto successo nel riuscire a preservare l’isola dall’eccessiva speculazione e cementificazione edilizia; triste, ma necessaria, l’analogia con la rassegnazione e passività della Sardegna, cui Paolo accenna en passant, ma senza mancare di esprimere il suo profondo amore e rispetto per il popolo e gli amici sardi.
Concludendo, perché Smilla Sidecar è un libro a mio avviso imperdibile?
Perché affronta in maniera coerente e organica tantissime tematiche interessanti e riesce ad essere un ibrido tra la letteratura di viaggio e quella propriamente antispecista; di più: è un testo in cui si respira l’odore buono del pensiero libertario e anarchico, mischiato con quello del mare e della natura che accompagnano l’itinerario, sempre mentale e fisico insieme, dei nostri due protagonisti. A tratti commovente (confesso che mi si sono inumiditi gli occhi più volte), sempre stimolante e coinvolgente, riesce a far sentire il lettore partecipe della formativa avventura dei due simpatici protagonisti.
Ricordo che l’8 febbraio Animal Equality e Gallinae in Fabula presenteranno il libro di Paolo (e Smilla) presso la Città dell’Altra Economia, a Roma; i due protagonisti saranno presenti per raccontarci dal vivo questa loro bella esperienza. L’evento avrà inizio alle ore 19,00. Per ogni informazione consultare la relativa pagina FB.

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